15 giugno 2025

L' ADALGISA

 


Dieci stanti in pietra, uniti da catena metallica, delimitano l’area di rispetto entro cui si trova il monumento. Una base in marmo rosa, composta da un primo gradino dal profilo zigrinato su cui poggia un secondo blocco, sorregge una lapide marmorea di notevoli dimensioni e dal profilo ellittico.

Due bassorilievi decorano questo blocco marmoreo, dove al centro si erge un alto blocco in marmo con incisa la dedica ai caduti della Prima e decorata da una bronzea corona d’alloro.

Sulla sommità è posta la scultura raffigurante la Patria, con la corona sul capo, spada e scudo in mano, il tutto proveniva dalle sapienti mani dello scultore Giulio Nordio ex combattente e mutilato nella Grande Guerra che la realizzò nel 1923.

A quello che al tempo era un affermato scultore venne dato l'incarico dall'amministrazione comunale di Occhiobello di realizzare il monumento in memoria dei caduti e lo stesso artista rimase ospite del comune per tutto il tempo che gli servì alla progettazione e realizzazione dell'opera.

Nel progetto come del resto nella maggioranza di quei monumenti vi trovava sovente posto un richiamo alla patria e anche in quel quel caso il Nordio, che aveva già realizzato altri monumenti ai caduti della prima guerra mondiale, decise di raffigure la patria italia con una figura femminile turrita.

In quel periodo di permanenza a Occhiobello il Nordio, la sera smessi i panni dello scultore si prendeva dei momenti di pausa per conoscere meglio l'ambiente ed il paesaggio che lo circondava. Non disdegnava di apprezzare quanto gli offriva la vicina città di Ferrara e, tra le tante occasioni di svago, vi era anche la frequentazione delle case di tolleranza ed in particolare del casino di via Colomba.

In quel periodo si racconta che vi esercitasse una “signorina” molto bella il cui fascino, diventato un mito tra gli avventori, aveva valicato i confini della casa chiusa disperdendosi per tutto il circondario.

Il Nordio durante le sue continue frequentazioni della casa era rimasto particolarmente colpito dalle belle fattezze dell'Adalgisa, così era conosciuta l'avvenente prostituta, tanto che durante le sue visite cominciò a ritrarla schizzandone le fattezze.

Dal momento che nel monumento ai caduti di Occhiobello a cui stava lavorando avrebbe dovuto trovare posto una allegoria dell'Italia raffigurandola in una figura femminile riportante i simboli della patria, le sue ricerche di un modello femminile a cui ispirarsi si fermarono trovando nell'adalgisa della casa di tolleranza di via Colomba .

Unendo pertanto l'utile al dilettevole trovò proprio lì l'ispirazione, e decise di raffigurare il soggetto del monumento con le forme dell'Adalgisa che divenne così la figura della patria da porre alta a spiccare sul cippo marmoreo.

Fu così che nella piazza di Occhiobello si potè inaugurare il monumento ai caduti dove centralmente spicava l'imponente figura di donna dal bel viso altero e lo sguardo quasi severo il cui corpo era avvolto in un morbido panneggio che ne avvolgeva le sinuose e generose forme.


12 giugno 2025

I PONTI DI PONTE


 lL paese di Pontelagoscuro, dalla sua fondazione, ha sempre avuto grande peso nel sistema viario, dai tempi dell'impero romano e nei secoli successivi ha assunto particolare importanza come centro stategico per le comunicazioni prima fluviali, poi stradali e infine ferroviarie.

Il Lago Scuro con i suoi forti fu un solido baluardo per gli Estensi, divenne per lo Stato Pontificio Ponti Obscuri Lacus, Porto Franco e frontiera di Stato e infine costituì uno dei principali insediamenti industriali e commerciali di Ferrara fino alla seconda guerra mondiale.

Pontelagoscuro sul Po è sempre stato un punto focale sia di divisione e difesa, che di unione e accoglienza e attraversare il fiume è sempre stato possibile sia con i mezzi a disposizione nelle diverse epoche sia per eventi naturali.

1055.- In agosto un privilegio viene concesso ai ferraresi dall'imperatore Enrico III con l'indicazione Actum ad Pontem. Nel suo tragitto passerà per Verona, Mantova, Roncaglia (PC), Firenze e per Pontelagoscuro il 25 Agosto.

1167 – Con la Rotta Siccarda si forma il gran braccio del Po di Venezia. Il popolo di Ficarolo, nemico di quello di Ruina, tagliò l'argine del Po mentre era gonfio per consiglio di certo Sicardo. Si produsse da tal rotta il gran braccio del Po che passa da Pontlagoscuro e va al mare.

1449 - Il 18 aprile il Vescovo Francesco dal Legname, dopo aver visitato la chiesa di Santa Maria Maddalena di Pontelagoscuro Transpadano, attraversa il Po su un ponte di barche per visitare l'ospedale di Pontelagoscuro che trova in buono stato.

1486 - Passa per Pontelagoscuro Antonio da Crema dell'antica famiglia mantovana dei Crema che si sta recando in pellegrinaggio al Santo Sepolcro. Nel resoconto del suo viaggio racconterà poi che il ponte sul Po era stato distrutto dalla recente guerra del 1483.

1510 - Il Po ghiaccia e lo attraversano a piedi cinquemila soldati francesi diretti alla Mirandola.

1643 - Durante la guerra dei Barberini, l'esercito pontificio, costituito in gran parte da cittadini ferraresi, dopo aver cannoneggiato Pontelagoscuro e varcato il Po su di un ponte di chiatte, s'impossessò delle trincee nemiche ed ebbe la vittoria

1655 - Il 23 novembre entrò nello Stato Pontificio, con il grande seguito di alti personaggi,per recarsi a Roma, Cristina figlia del Re di Svezia Gustavo Adolfo. Per la circostanza tra Pontelagoscuro e Santa Maria Maddalena venne costruito un ponte di barche attraverso il Po.

1775 - Il Po gelava a febbraio dall'una alla altra sponda permettendo l'attraversamento.

1778 - Il Po gelava anche in questo freddissimo invervo dall'una alla altra sponda, unendole.

1782 - Il 20 maggio il Pontefice Pio VI di ritorno da Vienna attraversa il Po a Pontelagoscuro su di un ponte di barche provvisorio realizzato con 45 grosse barche.

1788 - Il Po gelava dall'una alla altra sponda permettendo l'attraversamento

1796 – Il 21 ottobre venne a Pontelagoscuro Napoleone che, dopo breve sosta con una scorta di dragoni, varcava il ponte di chiatte sul Po. In seguito passarono una divisione di fanteria ed un reggimento di cavalleria.

1799 - Il 10 giugno il generale Clenau ordinò la costruzione di un nuovo ponte di barche sul Po a Pontelagoscuro per avere una pronta e sicura ritirata in caso di bisogno, perché il generale francese Macdonald avanzava con un corpo di oltre 45000 combattenti.

1799.-.Il 13 giugno arrivarono a Ponte circa 20 carriaggi che vollero passare subito il Po scortati da uno squadrone di cavalleria, nonostante il fiume fosse in massima piena ed il ponte non fosse completamente terminato.

1800.-.Il 28 giunse la divisione del generale Somariva che passò il Po con carriaggi e cannoni, marciando verso Padova. La mattina del 29 dicembre venne distrutto il ponte di barche sul Po a Vallonga e le barche che lo componevano furono portate a Pontelagoscuro ed iniziarono dei preparativi per rifare il ponte di barche in faccia alla via Coperta.

1801 - Il 2 gennaio viene sospeso il lavoro del nuovo ponte di barche sul Po che si era cominciato il 31 dicembre. La mattina del 4 viene riprende il lavoro che però viene subito nuovamente sospeso. Poi 160 soldati partirono per Crespino e tutto il rimanente della guarnigione attraversa il Po su due passi doppi e giunti in mezzo al Po tagliarono le funi e andarono dietro alle altre barche prima partite.

1808 - Il 21 di dicembre ghiaccia il Po a Pontelagoscuro e rimane ghiacciato fino al 28

1820 - Il 13 gennaio ghiaccia il Po a Pontelagoscuro

1857 - Il primo febbraio ghiaccia il Po da Occhiobello a Polesella.

1858 - Durante la notte fra il 13 ed il 14 gennaio si ghiacciava il Po per un tratto di 70 km. A Pontelagoscuro lo spessore, era tale che si facevano passare sopra branchi di bestiame, botti, palle di canapa

1863.- Dal febbraio la linea ferroviaria Bologna-Ferrara viene prolungata fino a Pontelagoscuro.

1863 - Filippo Mainardi gestisce il ponte di chiatte che unisce Santa Maria Maddalena a Pontelagoscuro attraversando il confine fra il Regno d'Italia ed il Veneto ancora soggetto all'Austria.

1864 - Il 19 di gennaio ghiaccia il Po a valle di Pontelagoscuro e rimane ghiacciato fino al 27.

1866 - Il 24 giugno un corpo d'armata, già accampato nella tenuta Parco sotto il comandante Generale Cialdini, costruiva 5 ponti a chiatte attraverso il Po di fronte a Pontelagoscuro.

1866 – Il 20 novembre si inaugura la tratta Pontelagoscuro-Rovigo attraversando il grandioso ponte in legno. l'Ing. Cannellutti curava la costruzione sul Po di un ponte in legno provvisorio che in tre mesi viene costruito per la ferrovia. E' lungo 378 ml. composto da 15 travate e congiunge il Veneto col resto d'Italia.

1866 - Il 21 novembre S. M. Vittorio Emanuele II transita per ferrovia sul grandioso ponte in legno attraversante il Po a Pontelagoscuro inaugurato il giorno precedente. Il Re, accompagnato dai principi e dal generale La Marmora, di ritorno dal suo solenne ingresso in Venezia si fermava alla stazione di Pontelagoscuro sfarzosamente addobbata.

1869 – In marzo inizia la costruzione di un ponte ferroviario in ferro attraverso il Po tra Pontelagoscuro e Santa Maria maddalena per sostituire in via definitiva il ponte provvisiorio in legno .

1870 - In giugno una squadra di allievi della Scuola d'applicazione per ingegneri in Torino visita il ponte provvisorio in legno sul Po per la ferrovia Bologna-Padova e gli interessanti lavori, ad aria compressa, per le fondazioni del ponte definitivo in ferro lungo 428 ml, che la Società Ferroviaria Alta Italia sta costruendo a Pontelagoscuro.

1871 - In ottobre viene inaugurato il ponte in ferro che costò 3 milioni e due anni di lavori svolti da una società francese. Il 26 ottobre viene inaugurato il ponte in ferro. Sui binari vengono fatte sfilare dodici locomotive ognuna delle quali aveva un suo nome. I nomi erano: Scintilla, Cervo, Bentivoglio, Magnolia, Orazio, Luna, Massa, Mortara, Piacenza, Bologna, Roma e Freccia.

1872 - In luglio viene demolito il ponte provvisorio in legno costruito sul Po per la linea ferroviaria Bologna-Padova.

1877 – In maggio i lavoratori che attraversano il ponte sul Po all'alba e ritornano al tramonto sono esentati dal pagamento dei tre centesimi di pedaggio. Sei lavoratori di Santa Maria Maddalena avendo finito il lavoro a Pontelagoscuro a mezzogiorno tornano a casa e vengono denunciati. Il Sindaco di Pontelagoscuro intervenne ritenendo che non fosse giusto che gli operai dovessero aspettare la sera per essere esentati dalla tassa, passando così un mezza giornata in ozio, invece di utilizzarla nel proprio paese a pro delle loro famiglie ed in seguito la denuncia fu ritirata.

1879 - Il 9 di dicembre iniziano a scendere dei ghiacci galleggianti lungo il Po, il 16 ghiaccia e rimane ghiacciato fino al 3 gennaio 1880 tanto da renderlo viabile dall'una all'altra sponda.

1889 - Il Governo rigetta un ricorso dell'amministrazione dei Comuni di Occhiobello, Fiesso e Canaro che chiedevano l'abolizione del balzello sull'attraversamento del ponte di chiatte che unisce Santa Maria Maddalena a Pontelagoscuro.

1891 - Il 25 di gennaio ghiaccia il Po da Occhiobello a Pontelagoscuro e rimane ghiacciato fino al 28.

1893 - Il 20 di gennaio ghiaccia il Po da Vallunga all'idrometro di Pontelagoscuro e rimane ghiacciato fino al 31.

1909 - In maggio la Deputazione Provinciale di Fderrara appalta la costruzione del ponte stradale in ferro fra Santa Maria Maddalena e Pontelagoscuro.

1911 - In maggio iniziano i lavori per la costruzione del ponte forgiato, per gli elementi in ferro, dalla piemontese Società Nazionale Officine di Savigliano. Il progettista è l'ingegnere capo della Deputazione Provinciale di Ferrara Giovanni Boicelli.

1912 - L'11 aprile è inaugurato il nuovo ponte in ferro, che ha decorazioni in ferro battuto che ornano i due ingressi e che rappresentano rami di quercia e di alloro che rinserrano gli stemmi affiancati delle due Province. Le decorazioni sono opera del ferrarese Augusto de Paoli che eseguì, nel 1904, la cancellata, costituita da rami di girasole, della villa Melchiori di Viale Cavour a Ferrara.

1929 - In febbraio vi è una ondata di freddo senza precedenti in tutta Europa. Pontelagoscuro è il punto più freddo della Pianura Padana. [16] La temperatura minima è di -21° e viene raggiunta nella notte del 18 febbraio; molte persone si recano a Pontelagoscuro per osservare il Po completamente ghiacciato

1934.- Il ponte ferroviario inaugurato nel 1912 viene interessato da lavori di rafforzamento delle strutture.

1944 - In giugno, in luglio ed in particolare il 23, 26 e 28 agosto, i bombardamenti radono al suolo il paese, abbattendo sia il ponte ferroviario che quello stradale e mettendo fuori uso le fabbriche. Il 3 luglio c'è la prima delle grandi incursioni aeree che raderanno al suolo l'intero paese. Ne seguono 19 fino alla fine di agosto e altre sporadiche, fino a novembre.

1945 - Il 27 aprile i genieri sud africani dell'VIII^ Armata inglese iniziano la costruzione di un ponte Bailey ad uso militare di trasporto delle truppe 15 metri a monte di quello distrutto. Il ponte è costituito da 17 travate metalliche di 24 ml. E per alcuni anni successivi assolse ad una funzione civile.

1948 - Il 17 marzo 1948 un pilone del ponte ferroviario si sposta a causa della piena del Po.

1949 – Il 16 luglio viene inaugurato il nuovo ponte in ferro opera più importante insieme alla galleria di Monselice sui 123 km della linea Bologna -Padova.

1986 - Il ponte ferroviario viene innalzato di 60 centimetri per evitare pericoli durante le piene.

2001.- Viene completata la costruzione del ponte ferroviario in affiancamento di quello del 1949 con lo stesso numero di campate ma ad una quota di 3 ml più alta.

2006.- Viene ristrutturato il ponte ferroviario del 1949 e portato alla stessa quota del ponte ferroviario del 2001.

2008 - In agosto la Provincia e il Comune di Ferrara firmano un protocollo d'intenti con la Provincia di Rovigo e il Comune di Occhiobello per la realizzazione di un nuovo ponte sul fiume Po.

2018.- Da maggio viene interrotto il traffico sul ponte stradale per procedere ai lavori di manutenzione straordinaria delle strutture, viene riaperto alla fine dell'estate.





11 giugno 2025

LUNGO LA VALLONGA - 4^ PARTE - LA FORNACE E VILLA ADA

 Proseguiamo lungo la via Vallelunga e, all'atezza degli insediamenti abitativi di recente costruzione, individuiamo sulla destra l'area dove fino agli anni ottanta c'era la Fornace (fig.20). Venne costruita tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del novecento dai Navarra, l'importante famiglia di latifondisti e nel tempo la proprietà cambiò più volte fino alla dismissione. La fornace, già dalla costruzione, era all'avanguardia per la tecnologia produttiva, fu infatti una tra le prime ad adottare il sistema di cottura dei laterizi del tipo Hoffmann a ciclo continuo che, brevettato nel 1858, introdusse una importante innovazione nella produzione dei laterizi.

fig.20 - La fornace prima della demolizione

L'opificio era posto al centro di una grande area estrattiva dove veniva reperita la materia prima grazie alla presenza, poco al di sotto dello strato superficiale del terreno, di un importante strato argilloso. La fornace doveva soddisfare la forte richiesta di materiale edilizio per la continua e progessiva espansione di industrie e abitazioni in quella che era al tempo la principale zona industriale di Ferrara. Nel 1953 nella cava della fornace venne alla luce, ad alcuni metri di profondità, il relitto di una imbarcazione del tipo sandòn che già in epoca romana veniva impiegato nella costruzione di mulini galleggianti e fu datato come non posteriore all'anno mille.

Riprendiamo il percorso lungo la via Vallelunga fino alla fine dell'abitato e passata la cabina di trasformazione, sulla sinistra, scorgiamo al centro di una azienda agricola, l'elegante presenza della casa padronale conosciuta come Villa Ada (fig.21).


fig.21 - Villa Ada tra le due guere


fig.22 - Villa Ada odierna vista dall'alto

Costruita a partire dal 1925 da un progettista di Venezia per il conte Tretti, grande latifondista di Vicenza.

La villa, al centro di una vastissima possessione di circa 200 ettari, era completamente auto sufficiente e aveva, vicino alla casa padronale: il forno, l'officina meccanica, la stalla porticata, la chiesetta, la casa del fattore, quella del boaro e le dipendenze dei lavoranti.

Il gusto architettonico richiama all'Art Decò in alcuni ornamenti ora cancellati, come il fascione decorato a tempera con il motivo ricorrente della spiga, inoltre vi si notano molti rimandi palladiani, come il portico e le caratteristiche barchesse venete. Si può ancora notare, sulle pareti della villa, la sigla TTT che sta per Tre-TTi, la stessa era impressa anche sui portali delle fattorie poste sui poderi della possessione: la Patuzza, il Casino, la Sbarra, Grande e Lucia.

LUNGO LA VALLONGA - 3^ PARTE - IL CIMITERO E VILLA NAVARRA

 

Attraversato il canale Boicelli sul ponte Bardella (1923-1925) chiamato così dal nome della tenuta “La Bardella” che attraversava, inizia la via Vallelunga e, ancora sulla sommità arginale, prendiamo la prima strada a sinistra che porta al cimitero di Pontelagoscuro (fig.13).


Fig.13 - Progetto della cella mortuaria del cimitero di Pontelgoscuro - 1930



fig.14 - cimitero di Pontelagoscuro oggi

Il cimitero venne progettato da Durante Gostoli, ingegnere capo del Comune di Ferrara e edificato nel 1930 a seguito della necessità di disporre di un campo di inumazione più capiente e in un'area più adeguata e sicura.

Il vecchio cimitero del borgo Tavernello si trovava in un'area poco distante dalla Chiesa Parrocchiale del 1600, ma non permetteva ulteriori ampliamenti e la sua collocazione in adiacenza al corso del fiume non dava garanzia di sicurezza.

Di fianco al cancello di ingresso al camposanto troviamo una chiesetta conosciuta come il Chiesolino (fig.15).

La costruzione venne commissionata da Beatrice Arnoffi in ottemperanza a una disposizione testamentaria del marito, il Conte Pietro Braghini Rossetti, morto nel 1914 che, quando era ancora in vita, aveva istituito un' Opera Pia a favore dei poveri del paese.

L'Opera Pia nel tempo si adoperò alla realizzazione di molte strutture benefiche e alcune sono ancora esistenti, oggi continua la sua opera benefica come Fondazione Braghini Rossetti.


fig.15 - Il Chiesolino del cimitero

fig.16 - Progetto del chiesolino del cimitero

La chiesetta venne progettata nel 1933 da Enrico Alessandri (fig.16), giovane architetto toscano del Comune di Ferrara che, in osservanza delle indicazioni ricevute (molto probabilmente lasciate dallo stesso conte Pietro), elaborò il progetto rifacendosi alla tradizione ferrarese e riproponendo diversi esempi di architettura sacra del primo qattrocento ferrarese, privileggiando nella costruzione l'utilizzo del mattone cotto. Nel prospetto si nota un'insieme di vari stili, infatti vi sono inserite diverse tipologie che si rifanno a vari portali, rosoni, pinnacoli e finestroni ogivali delle chiese ferraresi di S. Gregorio, S. Giuliano, S. Agnese, S. Giacomo e S. Pietro. Nella possibilità di accedervi, con il permesso della Parrocchia di Pontelagoscuro che ne ha la cura, è possibile ammirare all'interno il monumento funebre marmoreo della famiglia Braghini Rossetti (fig.17).


fig.17 - Monumento funebre della famiglia Braghini – Rossetti

L'opera è di Giovanni Pietro Ferrari (1916), inizialmente, con deroga della Curia, era stato in collocato all'interno della chiesa parrocchiale del 1600.

I Braghini erano un ramo della nobile famiglia Rossetti, Conti di Cannetole e di Valdalbero e Marchesi del Sacro Romano Impero. Discendevano infatti da Domenico Rossetti, figlio di Sigismondo detto il Braghino dal cognome della madre, che visse a Pontelagoscuro nei primi anni del XVII secolo.

Dal cimitero, ripercorrendo la strada arginale, ritorniamo sulla via Vallelunga. La seconda abitazione che incontriamo lungo la via, al civico numero 8, è la Villa Navarra (fig.18). Realizzata nel 1914, si ispira nella struttura e per il caratteristico intonaco rosso cupo, allo stile delle case padronali della Bonifica Ferrarese. Venne fatta edificare da Severino Navarra (Ferrara 1847-1921), erede di una importante famiglia di latifondisti e proprietario di un vasto fondo che si estendeva tra la Vallelunga e il fiume Po.



fig.18 – villa Navarra attuale

fig.19 - Villa Navarra tra le due guerre


LUNGO LA VALLONGA - 2^ PARTE - DAL BOSCHINO AL CANALE BOICELLI E LE ARCHITETTURE

 Il percorso si snoda per circa due chilometri in sede stradale, per la maggior parte sul marciapiedi o nelle corsie dedicate ai pedoni o lungo il ciglio di strade dove per alcuni tratti non è consentita o è limitata la circolazione di veicoli. Il punto di partenza per la passeggiata si trova sull'incrocio con semaforo tra la strada statale 16 Adriatica (via Padova) , la via Savonuzzi, a destra provenendo dalla città, che entra a Pontelagoscuro e la via Giovanni Romito a sinistra, che attraversa il quartiere Boschino.

    Siamo nel Borgo Boschino e percorriamo via Giovanni Romito fino all'incrocio con la prima trasversale a destra, via Luciano Bottoni. Dopo il primo edificio d'angolo incontriamo l'entrata posteriore che immette al cortile interno del condominio chiamato il Palazzone (1929-30) che venne soprannominato il “Vaticano” per la sua mole e per la vasta articolazione interna, questo fu uno tra i primi edifici di edilizia popolare realizzato a favore della manovalanza impiegata nelle numerose industrie sorte nel paese a partire dalla fine dell'800.

Si prosegue su via Bottoni fino all'incrocio con via del Boschino che si percorre tutta fino all'incrocio con la Statale via Padova e dove, al numero civico 267, si trova il Villino Ippoliti (1929). L'abitazione singola è arricchita da fasce floreali in cemento sopra le finestre e da un grazioso balcone sorretto da capitelli liberty (lo stesso motivo venne ripreso dall'architetto Ciro Contini nel villino di viale Cavour a Ferrara) il cui progetto è da attribuirsi all'architetto Agenore Pezzi.

                           

                           
Villino Ippoliti nel dopoguerra Villino Ippoliti attuale

Agenore Emanuele Luigi Pezzi, era nato a Pontedera il 07 ottobre 1888, la sua famiglia si trasferì a Pontelagoscuro quando era ancora piccolo. Pezzi studiò da geometra e successivamente si diplomò professore di architettura all'accademia delle Belle Arti a Bologna. Venne identificato come architetto“modernista” e siglò con efficacia la Belle Epoque paesana rifacendosi anche a mode estere, ma con buon gusto e dignitosa professionalità. Sposò la pontesana Jole Rosa e fu prolifico progettista per la borghesia e l'imprenditoria locale, tra le sue più importanti ralizzazioni a Pontelagoscuro ricordiamo l'albergo Croce Verde, l'albergo Moderno, il ristorante-albergo da Pietro, la sede del Circolo Cacciatori, il cinema teatro, la sede della Pubblica Assistenza, l'asilo e diverse abitazioni di privati.







A parte alcuni immobili ancora esistenti (villino Romanelli in via tavernello, la sede della Guardia di Finanza sulle strutture del circolo Cacciatori), di quegli edifici non rimane che qualche traccia essendo stati distrutti dai bombardamenti anglo-americani nella seconda guera mondiale.

Proseguendo lungo la statale via Padova in direzione Ferrara troviamo, attigua e confinante con il villino, Casa Franchini al n.263, edificata nel 1929, più contenuta e semplice nello stile ma che, a causa di successivi interventi di ammodernamento, ha perso molte delle caratteristiche originarie.



Progetto tipologia villino 1930 Casa Franchini attuale

Si continua il percorso lungo la via Padova e, adiacente e confinante con la Casa Franchini, ritroviamo il Palazzone (detto il Vaticano) di cui possiamo ammirare l'imponente prospetto anteriore.

Il grande edificio progettato molto probabilmente dal Comune di Ferrara, segue la necessità dei tempi, infatti le costruzioni delle case popolari nascono con un provvedimento di politica sociale del 1903 a beneficio dei ceti meno abbienti. Da notare come sia ben distante dal concetto di abitazione dell'architetto Pezzi che rifiutava il concetto di casa-alverare, per privilegiare l'ideologia della casa unifamiliare, salubre e dall'evidente caratteristica decorativa.

Il Palazzone detto “Il Vaticano”, l'attuale prospetto anteriore

                                 

Il Palazzone detto il Vaticano in una immagine tra le due guerre

Proseguiamo sulla statale 16 via Padova fino al semaforo e proprio sull'incrocio con la via Romito troviamo l'edificio in angolo chiamato la Palazzina (1920), fatta edificare dal tipografo Emanuele Masoli originario di Fiesso Umbertiano che vi aveva stabilito, oltre alla propria residenza, un grande laboratorio tipografico già allora operante su scala industriale.

La Palazzina, laboratorio tipografico Masoli 1920, come è attualmente

Riprendiamo il percorso in via G. Romito che percorriamo fino al termine, contro l'argine dell'importante via d'acqua che collega il fiume Po al Volano e che porta il nome del suo progettista, l'ingegner Giovanni Boicelli.

Lavori di escavazione del canale Boicelli e costruzione della Biconca

di Navigazione tra il Fiume Po e il Volano

Giovanni Boicelli, nato a Vigarano Mainarda il 6 novembre 1857, fu dal 1908 ingegnere capo della Provincia di Ferrara, le sue opere più importanti realizzate a Ferrara furono il progetto del canale di collegamento tra il fiume Po con il Volano (1914), e il progetto del ponte in ferro sul fiume Po fra Pontelagoscuro e Santa Maria Maddalena (1912).

Il Po di Volano è un'ex ramo deltizio del fiume Po che si separa dal corso principale in destra idrografica all'altezza di Stellata di Bondeno per attraversare la città di Ferrara e proseguire fino alla foce in Adriatico presso il lido di Volano.

In epoca medievale era il corso principale del fiume Po fino alle rotte di Ficarolo tra il 1152 e il 1155, lo storico Giovanni Bedani attribuisce invece la deviazione del corso principale del fiume alla rotta Siccarda del 1167, provocata dalla popolazione di Ficarolo.


LULGO LA VALLONGA - 1^ PARTE - LA STORIA

 

PASSEGGIATA IN VALLELUNGA

Una passeggiata che ha lo scopo di fare conoscere la storia un insediamento meno noto rispetto al paese di Pontelagoscuro di cui fa parte, ma che ha origini storiche molto lontane. Un antico borgo che é sopravvissuto alle vicissitudini del tempo e attualmente è un importante rione del paese.

Il paese di Pontelagoscuro, oggi frazione del Comune di Ferrara, era un Appodiato sotto lo stato Pontificio era cioè autonomo e indipendente con una propria amministrazione. Dalla sua fondazione (nelle “Memorie” il Frizzi sostiene l’esistenza di un privilegio, datato 1055, donato ai ferraresi dall’imperatore Enrico II.

In tale documento si trova citato il termine “Actum ad Pontem“, che egli individuò nella località di Ponte di Lago Scuro) ha sempre avuto grande peso nel sistema viario, fin dai tempi dell'impero romano, nei secoli successivi ha assunto particolare importanza come centro stategico per le comunicazioni prima fluviali, poi stradali e infine ferroviarie.

Il Lago Scuro con i suoi forti fu un solido baluardo per gli Estensi, divenne per lo Stato Pontificio Ponti Obscuri Lacus, il Porto Franco e frontiera di stato e infine, costituì uno dei principali insediamenti industriali e commerciali di Ferrara fino alla seconda guerra mondiale. Questa passeggiata si sviluppa per tappe successive che toccano e mostrano ciò che ancora oggi rimane di questo angolo di storia locale, a partire dall'originaria e antica Vallonga che diviene nel tempo la Vallelunga e tale rimane fino quando, dopo la seconda guerra mondiale e con la nuova identificazione e ricostruzione del paese, viene identificata semplicemente come via Vallelunga.

foto aerea di Pontelagoscuro del 1935, nel riquadro la Vallelunga

La Vallonga” viene citata in documenti e cronache a partire dal 1300, come ci riporta anche il cavalier Antonio Dolcetti, figura non secondaria del nobilitato borghese di Pontelagoscuro, nelle sue “Memorie storiche compilate al Ponte Lagoscuro da un suo abitante - tomo primo”, scritte tra il 1796 e il 1801.

Nella parte prima di quelle cronache viene riportata una elencazione temporale di fatti storici e salienti a partire dal 1055, accompagnati dalla nota dell'autore “ho scartabellato quanto ho potuto né storici ferraresi”, e tra quelle cronache compaiono due trascrizioni:


“A.D. 1320 - in un rogito di Valentino Rossi del 3 giugno 1320 si fa menzione di una chiesa parrocchiale posta in luogo detto Sandone di Vallonga, soggetta però alla Pieve di Santo Steffano di Bolonitico, ora Arcipretura di Stienta; dedicata alla Beata Vergine Maria, e fu distrutta dal Po.”

“A.D. 1616-1621 - Oratorio di Vallonga - alla parocchiale è sottoposto l'oratorio della Beata Vergine in Vallonga, eretto a proprie spese da Agostino Diani.”

L'oratorio della Beata Vergine rimane tale, anche per le cure dei fedeli, nei secoli e, dopo la alla fine seconda guerra mondiale, che aveva distrutto la grande chiesa parrocchiale di Pontelagoscuro, sopperì per anni a tale mancanza diventando il luogo di culto dove il parroco del paese, don Angelo Cavallini, celebrava le funzioni religiose. Mantenne quell'importante compito fino alla costruzione e consacrazione, nel luglio 1958, della nuova chiesa nel paese ricostruito più a sud del sito originario.


Oratorio della Beata Vergine Maria - Sandone della Vallonga

Gli insediamenti civili della Vallelunga partono dal rione Boschino, l'agglomerato di edifici che si trova all'inizio, in fregio alla strada statale. Durante la seconda guerra mondiale sono stati toccati solo marginalmente dai bombardamenti aerei alleati, che hanno colpito pesantemente Pontelagoscuro, che invece si sviluppava a ridosso del fiume, radendolo quasi completamente al suolo (le stime post-belliche riportano la distruzione del 98% del paese, secondo per solo a Montecassino). Le incursioni aeree alleate nel 1944 (più di trenta) avevano per obiettivo la distruzione dei ponti, stradale e ferroviario sul fiume Po, che permettevano i collegamenti sulle linee di rifornimento per il fronte, allora tenuto dall'esercito tedesco lungo la linea Gotica. Inoltre anche le fabbriche site nel paese, che erano state convertite nella produzione di materie per l'industria bellica, erano obiettivi strategici dei bombardamenti aerei. Il rione Boschino era distaccato dall'agglomerato principale del paese, dove invece si erano sviluppati gli insediamenti industriali e logistici, pertanto fu colpito e distrutto solo in parte, tanto che possiamo ancora vedere alcuni degli edifici costruiti a partire dai primi anni del 1900 e anche gli insediamenti agricoli e le opere urbanistiche realizzate tra le due guerre mondiali.

03 giugno 2025

la battaglia di Occhiobello

 


la Campagna d’Italia condotta dal re di Napoli Gioacchino Murat fu il primo atto del Risorgimento italiano. Murat, cognato di Napoleone aveva lanciato una sfida all’Austria infrantasi a Occhiobello. 

La battaglia sulle sponde del Po fu il punto in cui si rivoltarono le sorti della campagna bellica iniziata un mese prima con obiettivo il processo di unificazione dell’Italia. 

Il ponte sul Po a Occhiobello era la porta per entrare nel Lombardo Veneto, vicereame d’Austria. Il punto in cui attualmente si dividono Veneto ed Emilia Romagna e le province di Ferrara e Rovigo, fu teatro, il 7 e 8 aprile 1815, di uno scontro militare fra le truppe del re di Napoli Gioacchino Murat e l’esercito austriaco del generale Federico Bianchi.

Murat era giunto sul Po con il suo esercito diviso in due colonne, una proveniente dalla costa adriatica, l’altra attardata in Toscana. Affrontò una battaglia sulla testa di ponte di Vallonga senza preparazione, cercando di sfondare la difesa austriaca. 

Gli austriaci capirono subito che Occhiobello era importante per sbarrare la strada al re di Napoli e la difesa sarebbe stata strategica per impedire l’avanzata dei napoletani verso Venezia.


7-8 aprile 1815.

Murat fece un ingresso trionfale a Ferrara, si presentò nella piazza cittadina con una scorta cavalcando in testa al suo Stato maggiore. Il re di Napoli, poche ore prima della battaglia, si dimostrò, nella città estense, molto ottimista sulla riuscita dell’assalto. 

Ma dall’altra parte, gli austriaci del generale Federico Bianchi avevano presidiato e fortificato il territorio e facevano affluire truppe di rinforzo.

Murat, invece, si presentava con un esercito indebolito numericamente, stanco per il lungo viaggio e al quale mancarono vettovaglie, foraggi agli animali e materiali per la costruzioni di ponti volanti sui fiumi per fare passare le truppe. Murat aveva affrontato un esercito che sarebbe diventato ben più grande del suo e molto bene armato, mentre i napoletani non avevano neanche le riserve a sostegno della prima linea.

I due giorni di battaglia dimostrarono che gli attacchi frettolosi alle postazioni alla base del ponte non avrebbero dato frutti se non preparati adeguatamente dall’artiglieria che non era praticamente a disposizione. 

Gli austriaci continuavano a ricevere rinforzi e quando Murat vide l’inutilità degli assalti (e i trecento morti che richiamavano diserzioni in serie) si fermò, tanto che il 12 aprile gli austriaci uscirono per contrattaccare anche dal ponte di Occhiobello. 

Non vi fu la gloria, bensì una ritirata allo scopo di riunire l’esercito. Alla mancata conquista del Lombardo Veneto per non essere riusciti ad attraversare il ponte di Occhiobello, seguirono la sconfitta a Tolentino, il precipitoso tentativo di rientro a Napoli, e il trattato di Casalanza che riconsegnava il regno ai Borboni.

30 dicembre 2024

BABBO NATALE E I SUOI FRATELLI

 


Pochissimi sono a conoscenza di un fatto tanto segreto quanto straordinario: BABBO NATALE non è figlio unico, ha infatti cinque fratelli.

Nessuno lo ha mai saputo perché la notizia è stata tenuta “innevata”.

I cinque fratelli sono molto ma molto diversi da lui e sarebbe davvero imbarazzante se nel mondo qualcuno venisse a scoprirlo.

La cosa è talmente importante che persino le giovani renne ed i nuovi elfi sono obbligati al segreto di apprendiStato.

Fonti ben informate dicono che dietro l’organizzazione che protegge questo segreto ci sia Tale Nababbo, un personaggio misterioso, che nessuno ha mai visto in pubblico.

Io però ne sono venuto a conoscenza casualmente grazie all’ascolto attento dei discorsi che faceva una talpa delle nevi ad un amico.

Ecco la loro storia.

Il primo fratello: BACCO NATALE, sopportava la solitudine delle rigide notti polari soltanto ingurgitando quantità industriali di vodka. Aveva un tasso così alcolico che riusciva a sciogliere la neve alitando.

A Natale era talmente ubriaco che non riusciva a portare i regali perché ne vedeva il doppio e non prendeva mai quelli giusti.

Suo fratello Babbo Natale, dopo diversi tentativi finiti male, lo licenziò.

Il secondo fratello: BAFFO NATALE, si teneva i baffi così lunghi ma così lunghi che gli arrivavano alle caviglie; tutti lo chiamavano Baffone.

Era un po’ strano e i genitori della Lapponia lo nominavano per minacciare i bambini quando facevano i capricci, gridando: “Ha da venì Baffone!”.

Lui, disponibile ed ingenuo, era sempre in giro anche se tutti lo prendevano in giro.

A Natale però non riusciva a portare i regali perché inciampava nei suoi stessi baffi e tutti i pacchetti gli cadevano per terra.

Babbo Natale, dopo molti pacchi rotti, fu costretto a lasciarlo a casa.

Il terzo fratello: BALLO NATALE, era un tipo mondano, non mancava mai alle feste danzanti ed era sempre in pista, scatenatissimo, a dimenarsi e a saltare; stava sempre in movimento, continuamente.

Sudava come una renna e poi si ammalava e gli veniva la febbre, soprattutto il sabato sera.

A Natale non riusciva a portare i regali perché, con tutte le piroette che faceva di continuo, i pacchi gli volavano per aria.

Babbo Natale, ormai stanco, licenziò anche lui.

BATTO NATALE era il quarto fratello; si travestiva pure lui come Babbo ma… non proprio allo stesso modo.

Lui preferiva i vestiti da donna perché era in cerca della sua identità di genere e sentiva il bisogno di comportarsi al femminile.

A volte si sentiva costretto a passeggiare di notte sui marciapiedi ghiacciati per cercare disperatamente compagnia.

Quando arrivava Natale non riusciva a portare i regali giusti perché sceglieva soltanto i cosmetici.

Quindi Babbo Natale lo emarginò, lo discriminò ed infine lo licenziò.

Infine c’era lui: BASSO NATALE, il più piccolo di tutti. Era davvero piccolissimo, tanto che Babbo Natale non riusciva a trovargli una collocazione: prima gli aveva chiesto di portare i regali minuscoli ma lui, con le gambe così corte, inciampava nei nastri e faceva cadere tutto; poi gli aveva chiesto di sistemare le letterine dei bambini nell’archivio ma lui, così piccino, rimaneva sommerso dalle buste.

L’ultimo tentativo lo aveva fatto proponendogli di incartare i dolciumi ma lui rimaneva appiccicato allo zucchero con la barba.

Fu così che Babbo Natale, ormai infuriato, lo cacciò come aveva fatto con tutti gli altri suoi fratelli perché non gli servivano a niente.

I fratelli Natale, rimasti senza Babbo, si sentivano senza famiglia.

Ognuno di loro era solo ed emarginato. Quando si ritrovarono insieme, non sapevano dove andare e allora cominciarono a vagare senza meta.

Ma più vagavano, meno si svagavano.

Meno si svagavano, più girovagavano.

Più girovagavano e meno divagavano.

Stavano proprio male perché pensavano sempre al loro sentirsi soli.

Sembrava proprio che tutto andasse storto e si sentirono ancora più tristi.

Una mattina però, dopo aver camminato tutta la notte in cerca di non si sa cosa, ormai sfiniti si trovarono di fronte ad un vecchio muro diroccato su cui qualcuno aveva scritto con la vernice spray:

“Ancora Umili, Garantendo Unità, Riusciremo Indipendentemente Dall’Indifferenza.

Bisogna Udire Ogni Nuova Energia.

Forza! Esprimiamo Segnali Testardamente Educativi”.

All’inizio non capivano; allora lessero e rilessero.

Basso Natale, che era il più arguto, scoprì che se si leggevano solo le iniziali di quelle parole esse formavano un augurio ma se si leggevano tutte le lettere di tutte le parole, formavano una frase che diventava una speranza.

Lui capì allora che le lettere sono come le persone; da sole sono tutte importanti ma, messe insieme in un certo modo, possono diventare una meravigliosa scoperta.

Lo stesso cominciò a pensare di lui e dei suoi fratelli.

Lo spiegò agli altri; anche loro capirono e si sentirono bene.

I cinque fratelli cominciarono a parlare come non avevano mai fatto prima: parlavano meno del prima e più del dopo, meno del passato e più del futuro.

Immaginarono insieme un domani diverso e fecero proposte concrete per il cambiamento: proposte minime come la statura di Basso e proposte importanti come i mustacchi di Baffo, proposte dinamiche come i movimenti di Ballo e proposte forti come la vodka di Bacco, proposte nuove come l’identità di Batto e proposte coraggiose come la voglia di cambiare che avevano tutti loro.

Ne fecero talmente tante che io non me le ricordo tutte; quello che ricordo è che questa storia non ha un vero e proprio finale ma tanti inizi, tanti quanti se ne riescono ad immaginare e poi a costruire.

Comunque pensiate che quel Tale Nababbo, oltre all’anagramma di Babbo Natale, sia un personaggio di altri tempi…. auguri.


28 dicembre 2024

TI RICORDI QUELLA NOTTE


 

Nel paradiso degli animali l’anima dell’asinello chiese all’anima del bue: “Ti ricordi per caso quella notte, tanti anni fa, quando ci siamo trovati in una specie di capanna e là, nella mangiatoia…?”

“Lasciami pensare… Ma sì - rispose il bue - nella mangiatoia, se ben ricordo, c’era un bambino appena nato”.

“Bravo. E da allora sapresti immaginare quanti anni sono passati?”

“Eh no, figurati! Con la memoria da bue che mi ritrovo”.

“Più di duemila”.

“Accipicchia”.

“E a proposito, lo sai chi era quel bambino?”

“Come faccio a saperlo? Era gente di passaggio, se non sbaglio. Certo, era un bellissimo bambino”.

L’asinello sussurrò qualche cosa al bue.

“Ma no! - fece costui - sul serio? Vorrai scherzare spero”.

“La verità, lo giuro. Del resto io lo avevo capito subito…”

“Io no - confessò il bue - si vede che tu sei più intelligente. A me, non aveva neppure sfiorato il sospetto. Benché, certo, a vedersi, era un bambino straordinario”.

“Bene, da allora gli uomini ogni anno fanno grande festa per l’anniversario della nascita. Per loro è la giornata più bella. Tu li vedessi. È il tempo delle serenità, della dolcezza, del riposo dell’animo, della pace, delle gioie familiari, del volersi bene. Perfino i manigoldi diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale. Anzi, mi viene un’idea, già che siamo in argomento, perché non andiamo a dare un’occhiata?”

“Dove?”

“Giù sulla terra, no!”

“Ci sei già stato?!"

“Ogni anno, o quasi, faccio una scappata. Ho un lasciapassare speciale. Te lo puoi fare anche tu. Dopo tutto, qualche piccola benemerenza possiamo vantarla, noi due”.

“Per via di aver scaldato il bambino col fiato?”

“Su, vieni, se non vuoi perdere il meglio. Oggi è la vigilia”.

“E il lasciapassare per me?”

“Ho un cugino all’ufficio passaporti”.

Il lasciapassare fu concesso. Partirono. Lievi, lievi. Planarono sulla terra, adocchiarono un lume, vi puntarono sopra.

Il lume era una grandissima città.

Ed ecco il somarello e il bue aggirarsi per le vie del centro, trattandosi di spirito, automobili e tram gli passavano in mezzo senza danno, e a loro volta le due bestie passavano attraverso come se fossero fatti d’aria. Così potevano vedere bene tutto quanto.

Era uno spettacolo impressionante, mille lumi, le vetrine, le ghirlande, gli abeti e lo sterminato ingorgo di automobili, e il vertiginoso formicolio della gente che andava e veniva, entrava ed usciva, tutti carichi di pacchetti, con un’espressione ansiosa e frenetica, come se fossero inseguiti.

Il somarello sembrava divertito. Il bue si guardava intorno con spavento.

“Senti amico: mi avevi detto che mi portavi a vedere il Natale. Ma devi esseri sbagliato. Qui stanno facendo al guerra”.

“Ma non vedi come sono tutti contenti?”

“Contenti? A me sembrano pazzi”.

“Perché tu sei un provinciale, caro il mio bue. Tu non sei pratico degli uomini moderni, tutto qui. Per sentirsi felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi”.

Per togliersi da quella confusione, il bue, valendosi della sua natura di spirito, fece una svolazzatina e si fermò a curiosare a una finestra del decimo piano. E l’asinello, gentilmente, dietro.

Videro una stanza riccamente ammobiliata e nella stanza, seduta a un tavolo, una signora molto preoccupata.

Alla sua sinistra, sul tavolo, un cumulo alto messo metro carte e cartoncini colorati, alla sua destra cartoncini bianchi. Con l’evidente assillo di non perdere un minuto, la signora, sveltissima, prendeva uno dei cartoncini colorati lo esaminava un istante poi consultava grossi volumi, subito scriveva su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva qualcosa sulla busta, chiudeva la busta quindi prendeva dal mucchio di destra un altro cartoncino e ricominciava la manovra. Quanto tempo ci vorrà per smaltirlo? La sciagurata ansimava.

“La pagheranno bene, immagino, - fece il bue - per un lavoro simile”

“Sei ingenuo, amico mio. Questa è una signora ricchissima e della migliore società”.

“E allora perché si sta massacrando così?”

“Non si massacra. Sta rispondendo ai biglietti di auguri”.

“Auguri? E a che cosa servono?”

“Niente. Zero. Ma chissà come, gli uomini ne hanno una mania”.

Si affacciarono più in là, a un’altra finestra. Anche qui gente che, trafelata, scriveva biglietti su biglietti, la fronte imperlata di sudore. Dovunque le bestie guardassero, ecco uomini e donne fare pacchi, preparare buste, correre al telefono, spostarsi fulmineamente da una stanza all’altra portando pacchi, spaghi, nastri, carte, pendagli e intanto entravano giovani inservienti con la faccia devastata portando altri pacchi altre scatole, altri fiori, altri mucchi di auguri. E tutto era precipitazione, ansia, fastidio, confusione e una terribile fatica.

Dappertutto lo stesso spettacolo.

Andare e venire, comprare e impaccare, spedire e ricevere, imballare e sballare, chiamare e rispondere e tutti guardavano continuamente l’orologio, tutti correvano, tutti ansimavano con il terrore di non fare in tempo e qualcuno crollava boccheggiando.

“Ma avevi detto - osservò il bue - che era la festa della serenità e della pace”.

“Già - rispose l’asinello - una volta era così. Ma cosa vuoi, da qualche anno, sarà questione della società dei consumi… Li ha morsi una misteriosa tarantola. Ascoltali, ascoltali!”

Il bue tese le orecchie. Per le strade, nei negozi , negli uffici, nelle fabbriche uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi come automi delle monotone formule di buon Natale, auguri, auguri, altrettanto auguri a lei grazie. Un brusio che riempiva la città.

“Ma ci credono? - chiese il bue - Lo dicono sul serio? Vogliono veramente tanto bene al prossimo?”

L’asinello tacque.

“E se ci ritirassimo un poco in disparte? - suggerì il bovino - Ho ormai la testa che è un pallone. Sei proprio sicuro che non sono usciti tutti matti?”

“No, no. È semplicemente Natale”.

“Ce n’è troppo, allora. Ti ricordi quella notte a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bel bambino. Era freddo anche lì, eppure c’era una pace, una soddisfazione. Come era diverso!” “E quelle zampogne lontane che si sentivano appena appena”. “E sul tetto, ti ricordi, come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano”.

“Uccelli? Testone che non sei altro. Angeli erano!”.

“E la stella? Non ti ricordi che razza di stella, proprio sopra la capanna? Chissà che non ci sia ancora, le stelle hanno la vita lunga”.

“Ho idea di no - disse l’asino - c’è poca aria di stelle, qui”.

Alzarono il muso a guardare, e infatti non si vedeva niente, sulla città c’era un soffitto di caligine e di smog.

LETTERA A BABBO NATALE


 

Caro Babbo Natale, quest'anno ti scrivo per la prima volta e spero che tu possa scusarmi per il ritardo, ma nonostante non sia più un fanciullo o proprio perché non lo sono più, ho sentito solo ora la necessità di scriverti e di rimediare a questa mia mancanza che continua da molto, forse da troppo, tempo.

Improvisamente ho sentito la necessità di scriverti, ma non per chiederti di ricordarti di me nella tua lista dei regali di Natale, bensì per scusarmi per il ritardo, e anche per provare a giustificare questa mia mancanza, non certo di rispetto, solo forse di affezione.

Io, per l’età che ho e, di conseguenza, per il tipo di educazione ricevuta e per le consuetudini dei miei tempi che ancora resistono dal tempo della mia infanzia, non ho mai trovato le occasioni per conoscerti e stimarti quanto meriti.

Dalle mie parti, in fondo alla grande pianura, i bambini erano abituati ad aspettare con trepidazione l'arrivo della vecchia, cioè il giorno che per molti è solamente quello che chiude le festività dopo la fine di ogni anno, quello che, per dirla con il proverbio “se le porta tutte via”, cioè l’Epifania.

Sebbene già da allora cominciasse ad affermarsi la schiera dei “Natalisti”, in pratica di coloro che facevano trovare ai loro figlioli i doni, dolci e giochi nella Notte Santa, io sono cresciuto in una famiglia che ancora svezzava e cresceva i bambini a pastasciutta e Befana.

In quella zolla di terra andava forte la tradizione dei regali portati ai bambini dalla Befana, in quei tempi, con tutto il rispetto per il Bambinello che portava l’amore nel mondo e il signore in rosso alla guida delle renne, tendevamo a prediligere la vecchia signora che portava giochi e dolciumi nelle nostre calze appese a stufe e camini.

"La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte..." cominciava così la filastrocca dedicata alla Befana e lei era, da sempre, presente nell’immaginazione di noi bambini con l’aspetto di una vecchietta curva, ma ancora autoritaria e con un caratteraccio da mettere in soggezione anche i più discoli.

Nelle nostre fantasie di bambini vedevamo la Befana come era nelle immagini dei libri di favole o come ce la raccontavano gli adulti, che disegnavano una vecchietta coperta di vecchi e logori abiti, mentre tirava un carretto colmo di pacchi o cavalcando una scopa volante con un grande sacco sulle spalle.

Una anziana signora che nonostante gli acciacchi e anche se già in età di pensione non si arrendeva, e continuava il suo lavoro con una energia incredibile e così tutti gli anni, anno dopo anno, arrivava nella notte tra il cinque ed il sei gennaio, quando ogni bambino dormiva nel sonno più profondo.

Un’altra certezza era quella che non esistevano condizioni climatiche o di traffico tanto difficili da poter fermare l’anziana nottambula, lei arrivava nelle case sempre e comunque, si faceva aprire con autorità poi, prese le dovute informazioni sul fanciullo li domiciliato, depositava i doni.

Nelle storie che circolavano si raccontava che, arrivata nella casa, cominciasse a sfogliare un enorme librone che si portava appresso e sul quale era annotato com’era stato il comportamento dell’infante durante l’anno appena trascorso. Non si poteva sfuggire al giudizio della Befana, quella sapeva tutto e, secondo il suo insindacabile giudizio, avrebbe lasciato giochi e dolci, oppure carbone e castagne secche, dure anche per le dentature più forti

Così i bambini la sera del cinque gennaio d’ogni anno, al contrario di tutte le altre, andavano a letto senza fare storie dopo avere esposto in cucina, in bella vista, le loro calze che, come tradizione voleva, sarebbero servite alla Befana come punto di riferimento per le consegne.

In pratica e meno poeticamente di quanto raccontato, quella notte, verificato che i figli dormissero, entravano in azione i genitori che tiravano fuori i regali, ben nascosti fino a quel momento, e li deponevano vicino alle calzette, dove i bambini li avrebbero trovati al risveglio.

Io custodisco gelosamente un ricordo indelebile di quelle notti in cui venivo improvvisamente risvegliato dal trambusto proveniente dalla cucina che, con il cuore in gola, mi faceva scendere di scatto dal letto per correre verso ciò che già immaginavo.

Tra il sonno che ancora mi tratteneva, l'emozione e il timore di trovare chi sa cosa e chi sa chi, mi affacciavo in cucina dove trovavo ad accogliermi il babbo e la mamma che mi raccontavano che la Befana se ne era appena andata via ma che, dopo aver verificato il mio comportamento nell'anno, aveva lasciato quei pacchi che facevano bella mostra tra le calze appese e tra cui, come sempre, non mancavano mai alcuni simbolici e ammonitori pezzetti di carbone.

Prima di ripartire per il suo giro di consegne, la vecchiarda aveva preteso un caffè del quale ancora vi era traccia nella tazzina sul tavolo della cucina, poi come era arrivata era ripartita, maldestra e scontrosa, facendo un gran baccano.

Col passare degli anni anni avevo intuito che era quel romantico di mio padre ad organizzare quella farsa, ma mi è sempre piaciuto continuare a credere all'arrivo della vecchietta scorbutica e poco rispettosa del mio riposo, era la fiaba che ogni anno entrava nella realtà, un bel sogno che si ripeteva.

Caro Babbo Natale, come vedi ho alle spalle delle esperienze e delle ragioni che spero possano giustificare questa mia minor affezione per te, rispetto a quella per la signora Epifania e ti chiedo scusa se solo ora comincio a rivalutare la tua imponente ma importante figura.

Ti posso assicurare che il tempo, il succedersi dei Natali nella mia vita, prima da figlio, poi da genitore, mi ha insegnato a voler bene alla tua rassicurante e bonaria presenza, a cercare di conoscerti meglio e stimarti di più, e poi sai com’è . . .bè, tra uomini ci si capisce.

Spero tanto che tu non me ne voglia se continuo a riservare le mie attenzioni, prima alla cara vecchietta e poi a te, ma credo che, oltre ad essere un grande vecchio, tu sia un gran signore, che può capire e condividere con me un po’ di galanteria verso la simpatica matura signora.

Con grande affetto ti saluto ricordandoti, come faccio sempre con la dolce cara Befana, di prestare attenzione nel tuo viaggio notturno della notte di Natale.

Questo nostro mondo, man mano che passano gli anni, diventa sempre più confuso e pericoloso e non vorrei che ti succedesse qualche cosa che possa, anche solo minimamente, intaccare la sicurezza dei bambini sulla tua costante presenza nelle loro notti di Natale.

Con, anche se tardivo, grande affetto, il tuo affezionato Bastiano.